«Il rito da’ a pensare!», diceva Paul Ricoeur in un suo famoso aforisma. Potrei immaginare che una delle reazioni, per chi ha avuto l’opportunità di partecipare domenica alla celebrazione eucaristica all’interno della quale si è celebrato il rito di imposizione del pallio al nostro arcivescovo, sia stata: «Tutto qua?». In effetti il rito è molto breve e si consuma interamente all’inizio della celebrazione eucaristica, che poi continua come il suo solito. Per di più, l’oggetto che viene consegnato è di una povertà spiazzante, e forse difficilmente visibile da chi stava negli ultimi banchi della chiesa. Inoltre, la crisi del segno e del simbolo che sta caratterizzando oggi le nostre liturgie, spesso sbilanciate sul linguaggio verbale e nelle quali il non verbale sembra essere declassato a «elemento facoltativo», rischia di non attribuire la giusta importanza a quel che si è celebrato domenica nella nostra Chiesa cattedrale. A venirci incontro è la Costituzione Sacrosanctum concilium che ci ricorda come la liturgia si esprima per
Quel simbolo semplice che rappresenta l’unità della Chiesa
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