L’arte mai posseduta di Maria Lai

È nota al grande pubblico per i libri e le tele cucite, quelle scritture illeggibili, quei grovigli di fili che faticano a stare entro i limiti di una pagina o di una cornice. Fatti di spago, cotone, legno, chiodi, acrilico, i telai sono tra le sue opere più ricercate dai collezionisti. Ma non si può dire di conoscere appieno Maria Lai se non si conoscono gli interventi collettivi, le azioni di partecipazione che ha realizzato nell’arco di un’intera vita.
La mostra Maria Lai. Art in public space, allestita a Sassari negli spazi dell’ex convento del Carmelo, rende conto dell’intera produzione di arte pubblica dell’artista ogliastrina, con un percorso che si dipana per tre piani e che si compone di oltre 150 opere, fotografie, studi, progetti, bozzetti, modelli, video, installazioni interattive, coprendo un arco temporale che va dal 1981 al 2009, solo quattro anni prima della sua scomparsa. L’esposizione si apre, al pianterreno, su un unico spazio: le immagini fotografiche di Piero Berengo Gardin ci riportano indietro al 1981, quando l’intera comunità di Ulassai ha dato vita a Legarsi alla montagna. Gli scatti in bianco e nero restituiscono momenti dell’azione collettiva, i volti delle donne, le espressioni dei bambini, e i ritocchi a pennarello di Maria Lai mettono in risalto l’azzurro del nastro utilizzato per legare le case tra loro e l’intero paese alla montagna.
Un’opera corale ispirata a una fiaba antica, raccontata nel video di Tonino Casula, trasmesso da un piccolo schermo sul fondo dell’ampia sala dove campeggiano gli ingrandimenti su plexiglas delle foto di Gardin, stretti fra loro da dieci metri del nastro originale. Le sale al primo piano

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