Intervista a Aldo Addis

Gli effetti del fenomeno pandemico sono ricaduti in modo pesante sulla cultura, se solo si pensa all’attività di cinema e teatri, bloccata per diverso tempo a causa delle restrizioni imposte dalle autorità sanitarie e dal Governo. Ma anche il mondo del libro ha fatto registrare delle ripercussioni legate all’impossibilità di organizzare conferenze e incontri in presenza con tutto ciò che ne consegue. I giorni scorsi abbiamo incontrato Aldo Addis reduce da una nomina importante, quella a vice presidente nazionale dei librai italiani ma non solo: Aldo, sassarese, è anche direttore della scuola di alta formazione per librai nonché titolare di una libreria che a Sassari è molto nota e altrettanto avviata, ma è anche presidente dell’associazione Liberos nata in Sardegna qualche anno fa. Quella che presentiamo di seguito è la trasposizione per l’edizione cartacea dell’intervista andata in onda i giorni scorsi su Libertà Tv.

Aldo, dove va il libro qual è il suo destino? Dopo un’iniziale deffailance dovuta all’avvento del digitale, contrariamente a quotidiani e periodici, il libro di carta sembra godere di buona salute.
«Sì, c’è stato un momento in cui sembrava davvero che il digitale potesse sostituire completamente il libro di carta questo non è successo lo possiamo dire in maniera definitiva perché i dati sono ormai consolidati. Il libro di carta resiste, sia come strumento di lettura, ma è anche un oggetto di regalo molto apprezzato. Forse la differenza sta anche lì, l’oggetto libro, la copertina, il tipo di carattere utilizzato, il tipo di carta, ancora esercita un certo fascino nei confronti del lettore che quindi non si ferma solo al testo, che poi sarebbe il file digitale, ma vuole maneggiare l’oggetto libro. Quindi possiamo dire che resiste».

Quali sono i generi più gettonati, cioè cosa si legge e, soprattutto, in quali fasce d’età, e sono più numerosi i maschi o le femmine?
«Partiamo dall’ultima, se noi avessimo in Italia la percentuale di lettura che hanno le donne del nord Italia saremmo i primi in Europa, purtroppo ci sono i maschi e c’è anche il sud anche se la Sardegna rispetto a questo si salva, noi siamo i primi rispetto al sud, abbiamo una media di lettori che rientra in quella nazionale, poco più sopra. Che cosa si legge, in questo momento si legge tantissima narrativa ma c’è anche un rifiorire della saggistica perché le analisi di quello che è successo, comunque, hanno rappresentato un tema per la pubblicazione di libri e per i lettori molto interessante. Registro un boom che si è verificato in questi ultimi mesi e che è devastante, che è quello dei manga, dei disegni che chiaramente interessa un pubblico molto giovane di ragazzi, è una cosa da salutare con grande piacere perché era un target, soprattutto gli adolescenti, che non frequentava le librerie o le fumetterie, se non occasionalmente. Invece c’è un’invasione di cui possiamo essere contenti e ci fa anche ben sperare per altri generi futuri, coltiviamoci questi lettori».

Fra le tante cose che fai, sei anche un organizzatore e promotore di cultura molto attivo. In questi ultimi giorni abbiamo sentito almeno due proposte interessanti. La prima, il Betile a Porto Torres, la seconda da parte di Stefano Boeri, che ha lanciato Sassari capitale della cultura. Sono boutade o ci crediamo?
«In realtà la provocazione di Boeri prevedrebbe la candidatura a città della cultura italiana da parte di Sassari. Sembrerebbero provocazioni, quasi paradossi, se si pensa alla situazione in cui versa il nord ovest, la situazione in cui versa l’area industriale di Porto Torres e anche, devo dire, la situazione in cui versa il mondo culturale cittadino: non dobbiamo nasconderci. Bisogna ragionare in positivo, perché se ci fermiamo allo stato delle cose possiamo tranquillamente definirle solo provocazioni. E invece sarebbe un’occasione quella di fare un ragionamento su come con la cultura si possa crescere e far crescere una comunità, non solo da un punto di vista culturale, ma anche sociale, economico e urbanistico. Tutti questi ragionamenti, secondo me, la nostra città, il nostro territorio del nord ovest, ha le persone, le idee, le associazioni, le forze per farli, si tratta di metterli insieme e di trovare la scusa per fare un ragionamento anche sul futuro della nostra città e questa potrebbe essere l’occasione, quella della candidatura a città italiana della cultura. Non vuol dire per forza vincere ma se tutte le azioni messe in campo per portare avanti una candidatura servono a modificare uno stato delle cose che certamente non è dei migliori, ben vengano queste provocazioni, ben vengano queste possibilità».

Quindi lo vogliamo dire senza tema di smentita che con la cultura si mangia?
«Assolutamente sì. Lo hanno certificato studi, addirittura corsi di laurea universitari, questo è certo, è sicuro, con la cultura si mangia, con la cultura si vive meglio, con la cultura si è di più in salute. Tutte queste cose sono assolutamente vere, qual è il problema, che questa consapevolezza manca a chi deve prendere decisioni. La nostra classe dirigente ha un gap da questo punto di vista, parla di cultura senza sapere di che cosa parla, non sa cosa significhi investire in cultura e a quali obiettivi si deve arrivare per poter far crescere la propria comunità. Si parla di cultura in maniera totalmente astratta e invece la cultura è una cosa molto concreta perché significa tante cose, un po’ le ho accennate. La nostra classe dirigente degli ultimi anni, e non pochi, ha dimostrato di non sapere che cosa significhi investire realmente in cultura e i risultati della situazione socio- politico-economica del nord ovest sono conseguenti».

Arriviamo da un periodo di grande sofferenza, forse ce lo stiamo lasciando alle spalle, quanto ha sofferto il mondo della cultura, il mondo del libro, tenendo conto anche del fatto che il cartellone di Sassari Estate è appena entrato nel vivo e quotidianamente agli appuntamenti organizzati dal Comune di Sassari c’è sempre una bella partecipazione. Quanta voglia c’è di ritornare alla normalità?
«Tantissima. L’avevamo già visto in quella piccola finestra dell’estate scorsa, una voglia enorme di stare anche insieme perché poi la fruizione della cultura, per esempio col digitale ha continuato a esistere ma l’evento dal vivo è insostituibile. La condivisione di un’esperienza, anche della presentazione di un libro, che è, diciamo, l’aspetto della lettura pubblico, comunitario, perché la lettura di fatto è un fatto privato. Quell’aspetto lì, lo dimostrano anche i risultati di questi primi incontri che stiamo organizzando, è anche la grande attesa che c’è per i prossimi. Stiamo per iniziare la terza edizione del festival di giornalismo Liquida alla basilica di Saccargia, abbiamo già prenotazioni e una forte richiesta di partecipazione. Questo fa ben sperare, ovviamente mantenendo tutte le precauzioni del caso ma fa ben sperare, significa che questo anno e mezzo non ci ha fatto perdere la voglia di stare insieme, di crescere insieme».

Dentro questo desiderio, questa voglia, c’è una realtà come Liberos di cui sei presidente, che cosa è?
«È una comunità di lettori che organizza incontri, laboratori, iniziative rivolte a promuovere il libro e la lettura in Sardegna e questo, promuovendo scrittori, editori, associazioni culturali, è un modo che ha il mondo del libro sardo per dire: siamo importanti, il libro è importante, la lettura è importante, facciamo insieme qualcosa per farla crescere».

Una speranza, insomma, e con quella stessa speranza, cerchiamo di andare avanti, per lasciarci alle spalle, una volta per tutte, questo periodo di sofferenza.